Federico Sirianni: un disco di acqua, di mare, di orizzonti

Si intitola “Maqroll” questo nuovo bellissimo disco di Federico Sirianni. Tra le fila di produzione sottolineiamo FiloQ alla parte elettronica e la direzione artistica di Raffaele Rebaudengo degli GnuQuartet. E dunque sfogliando questo libretto che custodisce il disco, arricchito dalla parola e dalla penna di tanti scrittori amici, fotografie e narratori (da Vincenzo Cinaski a Guido Catalano passando per Enrico Remmert e Remo Rapino e tanti altri), si afferra con suggestione la potenza della lirica che oggi è persa e dimenticata nella canzone moderna, liquida e spesso priva di peso poetico. Si torna alle origini con un disco che affida al leggendario gabbiere di Maqroll cantato da Alvaro Mutis la sua grande ispirazione per narrare, dentro canzoni in bilico tra cantautorato classico e acide visioni digitali, la condizione umana in perenne disequilibrio, incollocabile per molti e non per tutti… afferro una scelta di vita dentro le liriche di questa che sembra considerarsi l’opera più importante ad oggi di una storica figura della grande canzone d’autore italiana. 

Un concept album. Davvero un “concetto” antico per la musica di oggi. È inevitabile chiedertelo: cosa pensi delle mode, delle tendenze… del linguaggio di oggi? E non solo ovviamente nella musica fruita e ascoltata…
Effettivamente l’idea di un concept album non è molto contemporanea, considerati i cambiamenti di fruizione della musica e non solo. Detto ciò non sono un detrattore né delle nuove tendenze né, tantomeno, del cambiamento del linguaggio: la questione è come il linguaggio viene utilizzato. Oggi ci sono vocaboli che non esistevano vent’anni fa e altre parole sono invece diventate molto desuete. A me personalmente piace usare tutte le possibilità del linguaggio, che sia antico, contemporaneo, dialettale.

Te lo chiedo perché si parla spesso di musica come mestiere… ed il mestiere fa di conto non solo con l’arte ma anche con il mercato.
Sì, ma uno dei pochi e bellissimi vantaggi del non essere mainstream è proprio la possibilità di fare quello che mi piace, senza rendere troppo conto in giro. Vivo una condizione piuttosto rara nel mondo musicale italiano, non sono particolarmente famoso ma riesco a campare piuttosto bene con le mie canzoni e i miei concerti che, in tempi normali, ammontano a più di cento spettacoli all’anno. Chi mi segue sa che ogni lavoro che propongo e porto in giro ha una fortissima onestà intellettuale e una cura antica, per cui si fida e rinnova ogni volta apprezzamento e affetto, permettendomi di vivere e considerando ciò che amo più fare un vero e proprio mestiere.

Veniamo a questo lavoro che qualcuno cita come uno dei più alti della tua produzione. Col senno di poi cosa ne pensi?
Non è ancora il tempo del senno di poi, sono totalmente immerso nel senno – se così si può chiamare – di ora. Non so se sia il mio lavoro migliore, so però che mi rappresenta moltissimo. Maqroll mi assomiglia nella sua continua e spesso vana ricerca, nel viaggiare “per la sola ragione del viaggio” come direbbe un mio illustrissimo concittadino, nella tendenza ai naufragi e alla conseguente capacità di sopravvivere ad essi.


Liriche impegnate, impegnative, ma mai nella produzione di Sirianni il linguaggio ha messo distanze dal popolo quotidiano. Sbaglio forse? E penso che sia una gran fatica cercare un incontro dovendo trattare temi per niente immediati…
Ti ringrazio, questa considerazione mi fa molto piacere proprio perché, da sempre, ritengo che il mio linguaggio non sia inaccessibile, tutt’altro. Credo di essere rimasto fra i pochi a usare, ad esempio, la metrica e la rima, perché penso rendano il racconto più musicale, cerco di fare in modo che la parola sia musica all’interno della musica. Ed è vero, non è né scontato né facile, ci vuole attenzione, lavoro e, almeno per quel che mi riguarda, tante e buone letture.

L’allegoria di Maqroll, come gabbiere, come scrutatore dell’orizzonte. Ho come l’impressione che oggi avremmo sempre più bisogno di “gabbieri” e meno di televisioni che lavorino al posto dei gabbieri… non so se ho reso l’idea… che ne pensi?
Sono d’accordo. Quello che fa il gabbiere è molto lontano dalle nostre modalità contemporanee che vivono di immediatezza, corsa, in cui i livelli di attenzione e approfondimento sono ridotti ai minimi termini in virtù di una velocità che non sappiamo nemmeno dove ci porti. Il lavoro del gabbiere è l’attesa, la pazienza, l’ascolto del silenzio e dei rumori del mare. Esattamente come questo album che io definisco “novecentesco”.

Un disco contenuto dentro un libro di poeti, scrittori e fotografi. Cosa hai chiesto loro? E cosa ti hanno restituito?
Mi piaceva l’idea di coinvolgere amici scrittori, poeti, illustratori, fotografi in quella che ho chiamato “La ballata dell’incollocabilità”, ovvero il libro che accompagna il disco. Ognuno di loro mi ha regalato un’istantanea della propria idea di viaggio e di incollocabilità. Ne è uscita fuori una vera e propria antologia che si chiude, tra l’altro, con la voce di Alvaro Mutis in un’intervista inedita realizzata da Martha Canfield (a cui si può accedere tramite Qrcode).

E parlando del video de “La ballata dell’acqua”, perché questa scelta “storica” di repertorio?
Era tanto che volevo collaborare con la Fondazione dell’Archivio Storico Ansaldo di Genova, un luogo incredibile, un museo della storia della navigazione, pieno di antiche carte, mappe, diari di bordo. Sono stati gentilissimi nel concedermi l’utilizzo delle immagini di una vacanza a bordo del piroscafo Roma negli anni Trenta. Le ho trovate perfette per raccontare il video della “Ballata dell’acqua”.