Malacarna: il rock del pregiudizio popolare

Un disco straordinario già anche dalla faccia che presenta al pubblico dentro questo vinile, graficamente curato dall’artista Dorothy Bhawl, che segna un deciso ritorno alle origini. Lo diciamo subito: oltre i video e la pagina ufficiale di bandcamp da dove è possibile l’acquisto on line, la rete non restituisce molto altro. Ecco un altro esempio di disco che non si piega alle ragioni commerciali e alle mode ma torna ad essere fisico, soltanto acquistabile, soltanto voluto e non qualcosa su cui inciampare per caso nell’orgia dei click automatici. I Malacarna sono due pilastri della scena nazionale e internazionale: il cantante Tony Farina accanto al grande chitarrista e producer Vince Pastano. Un lavoro potente e di tradizione, dove la malacarna popolare e messa alla gogna diviene metafora di ogni giorno nostro e si fa musica e canzone rock dark e crudo, in dialetto lucano, quasi proveniente da antiche cattedrali scavate nella pietra dove la litania corale e le sospensioni acide diventano un vero e proprio leitmotiv. Decisamente “disturbanti” molti spigoli di questo lavoro, intenso, provocatorio, privo di mode… decisamente speciale la voce di Raiz che incontriamo dentro un brano come “Oh Signore”. Poco altro da aggiungere. 

Il sacrificio dentro il suono e dentro le storie popolari. Come avete fatto incontrare queste due dimensioni?
Ci siamo arrivati durante il work in progress iniziato nel 2016. Non è stata un’idea immediata e anzi è arrivata ad album missato e concluso in lingua inglese. Nel 2019 abbiamo riaperto i mix ed ho chiesto a Tony di riscrivere i testi in dialetto; sentivo l’urgenza di dare un’identità specifica al progetto che di per se ha una sonorità lontana dalle produzioni italiche. Il dialetto era l’unica lingua in grado di miscelarsi con i brani al punto tale da poter esprimere ancor meglio i concetti, senza però correre il rischio di allontanarsi troppo dalla fonetica ‘bluesy’ dell’inglese. Ci siamo concessi davvero tanto tempo per sperimentare prima di riuscire ad incastrare le due dimensioni.

Inquietante il disco… per la grafica, per i suoni, per le coralità… sembra di vivere una nuova Santa Inquisizione e non penso di esserci andata lontana…
Il concept grafico è dell’artista Dorothy Bhawl, il terzo elemento della band. Il progetto musicale è molto cinematico per cui era fondamentale trovare la giusta sintesi ‘estetica’ che accompagnasse l’ascoltatore a capire visivamente cos’è Malacarna. Potrei riassumere dicendo che ciò che ne viene fuori è più una denuncia sociale che altro. 
In copertina c’è una lingua chiodata, la malalingua di coloro che mettono in croce la gente con il pregiudizio e l’ignoranza. I chiodi sono tre, il riferimento diventa biblico e come in tutte le folk-stories le tematiche viaggiano tra il sacro ed il profano. La Malacarna, rappresentata anche nel video di ‘Maria Lou’, è simbolicamente una di queste vittime.

Perché solo in vinile? Ritorno alle origini o protesta commerciale per la salvaguardia di una verità morale e lavorativa?
Non crediamo nelle piattaforme digitali organizzate in questo modo impari. Non cediamo neanche al ricatto morale che ‘se non sei su Spotify vuol dire che non esisti’. I piccoli rimangono invisibili comunque. Il nostro è un lavoro che va sostenuto come si fa acquistando da una piccola bottega e di certo non ci si riesce con le somme (ridicole) estrapolate dagli abbonamenti degli utenti. Il Cd è in crisi quindi si ritorna al Vinile. Nessuna nostalgia. 


Che poi alla fine sembra ci sia un cambio di rotta… piccolo ma significativo. Sempre più artisti decidono di rifiutare i canali gratuiti. Secondo voi dove stiamo andando?
Non ho idea, non mi pare ci sia un flusso di energia positiva da seguire; c’è molta anarchia e rassegnazione al fatto che la musica, per tanti, è qualcosa da ricevere gratis perché così è stato negli ultimi anni.  

Domanda sociale: la “malacarna” di oggi chi è?
Donne e uomini vittime sui Social ad esempio. Questa è una variazione sul tema di stampo moderno che fotografa benissimo la condizione di pessima cultura che ci trasciniamo. Pensavamo che la tecnologia ci avrebbe aiutato ad elevarci culturalmente  ed invece dimostriamo ancora una volta che senza ‘regole’ e buon senso siamo in grado di distruggerci (la musica ne è vittima..).

E perché il dialetto lucano per fotografare questo disco?
Perché è il dialetto di Tony Farina, autore di tutti i testi. Tony è pregno di aneddoti e storie di tradizione orale tramandate dai suoi avi. Avevamo già fatto un’esperienza simile con i Pulp Dogs nell’album ‘Lu Cunnannatu’, ma in dialetto pugliese (il mio..) e su brani di tradizione popolare. Nei Malacarna bisognava raccontare di se stessi e con la propria personalità, quindi è stato naturale direzionarsi verso il proprio dialetto, inoltre poco sfruttato in ambito crossover soprattutto rispetto al napoletano o al pugliese che negli ultimi tempi è rinato grazie al festival della taranta.