Silvia Conti: l’amicizia con Erriquez e questo nuovo brano che nasce

Si spezza la vita, come un filo d’argento, duttile e prezioso, inevitabilmente fragile. La vita che ha smesso di scorrere troppo presto nel diario di Erriquez della Bandabardò, grande amico di vita di Silvia Conti, cantautrice che forse nasceva agli occhi di tutti in quel lontano Sanremo 1985 e che dopo anni di apparente “silenzio” mediatico è tornata in scena con un suono nuovo, più vero, decisamente meno pop da cliché. Ed oggi ci racconta questa lunga amicizia di vita e di musica in una canzone che nasce di getto come di getto è il dolore che arriva davanti alla sua stessa morte. Si intitola “Il filo d’Argento (per Enrico)” pubblicato dalla RadiciMusic di Firenze, nuova canzone che troviamo in rete anche arricchita dalla semplicità di un video: il caleidoscopio, la logica follia del caso e delle immagini, i colori accesi, scuri, mischiati al tutto. Sembra una fotografia di vita anch’essa… 

Bentornata in scena. Silvia Conti ci aveva lasciati con un blues assai classico ed ora con un brano che dal blues prende sicuramente il sangue buono ma che poi vira in qualcosa che è difficilmente etichettabile. Come pensi si possa definire questa canzone? Ha con se del rock, del folk, del blues… ma è assai notturna e metropolitana anche…
Non so come si possa definire e, scusa la franchezza, non lo ritengo importante. Non volevo fare un pezzo blues o rock o folk, non volevo niente. Quando si sta male c'è chi scrive, chi dipinge, chi piange, chi si rinchiude in se stesso: io scrivo canzoni. In questo particolare caso non ho “progettato” niente, non volevo niente se non liberare quel dolore che mi sembrava insopportabile.

Proprio per questo ti chiediamo: cosa e chi sta diventando Silvia Conti? Cosa hai conservato di quella ragazza sul palco di Sanremo e cosa invece hai abbandonato in via definitiva?
Anche qui davvero non ho una risposta verta. Credo che siamo tutte creature in divenire, che cambiano sempre conservando comunque qualcosa di sé anche nel cambiamento: nell'adulto convive il bambino. Siamo sempre gli stessi ma sempre diversi, con la capacità di recuperare o abbandonare parti di sé a seconda dei momenti e delle circostanze.

Parliamo del suono… ricerca di semplicità penso sia la parola chiave o sbaglio? Persino “A piedi nudi” sembrava un disco che nella sua bella produzione cercava la semplicità… un po’ come l’ultima traccia “All togheter now”, il modo in cui hai cantato i Beatles con i tuoi compagni di viaggio…
Mi dispiace insistere con i “non so”, sembra quasi una presa in giro. Ma davvero, non so se “semplicità” sia un termine azzeccato. In realtà, come credo sia per chiunque faccia questo mestiere, rielaboro ciò che ascolto, lo faccio mio e cerco di divertirmi con i miei compagni di avventure. Se poi quello che viene fuori è catalogabile come “semplice”, ok, mi sta bene. Basta che faccia stare bene anche chi mi ascolta.

E parlando di live? Per un musicista diventa importante… ma in questo tempo di pandemia come hai reagito alla rivoluzione della vita quotidiana?
Ho reagito, penso, come tutti. All'inizio è stato uno shock, poi ho cercato di prendere il meglio da una situazione che sembrava non avere “un meglio”. Mi sono dedicata ad altro, ho scritto, ho preso del tempo per me e per la mia famiglia. I live sono già pochi in tempi normali, figuriamoci in questi. La musica originale non ha molto spazio in questo paese e, fino a che non ci sarà una vera rivoluzione in questo settore, avremo sempre difficoltà, noi “artisti” (lo metto fra virgolette perché il termine mi fa sorridere) che non facciamo parte del mainstream.

Come vedi la rete e le nuove “normalità”? Questa vita in streaming che cerca anche di portare i concerti ad essere “esperienza” da consumare in rete seduti davanti al telefonino… cosa ne pensi?
Penso che sia parecchio triste, se questa cosa viene vissuta come normalità. Può andar bene come sostegno, come un'aggiunta, ma non può sostituire l'emozione di un concerto, di sentire e “vedere” qualcuno che ti suona davanti. Alcuni concerti io li ho aspettati per mesi, per anni a volte, e ho provato sensazioni indescrivibili nel trovarmi a poca distanza da quelli che per me sono dei miti; parlo di Neil Young, di Bob Dylan, di Mc Cartney, di Tom Petty e tanti altri. Ti assicuro che la differenza tra il vederli in streaming e sapere di essere lì, a 40, 50 metri da loro, da persone che hanno fatto la storia della musica, vederli sudare, suonare, cantare...non c'è paragone. E' vivere.