Si spezza la vita, come un filo d’argento, duttile e prezioso, inevitabilmente fragile. La vita che ha smesso di scorrere troppo presto nel diario di Erriquez della Bandabardò, grande amico di vita di Silvia Conti, cantautrice che forse nasceva agli occhi di tutti in quel lontano Sanremo 1985 e che dopo anni di apparente “silenzio” mediatico è tornata in scena con un suono nuovo, più vero, decisamente meno pop da cliché. Ed oggi ci racconta questa lunga amicizia di vita e di musica in una canzone che nasce di getto come di getto è il dolore che arriva davanti alla sua stessa morte. Si intitola “Il filo d’Argento (per Enrico)” pubblicato dalla RadiciMusic di Firenze, nuova canzone che troviamo in rete anche arricchita dalla semplicità di un video: il caleidoscopio, la logica follia del caso e delle immagini, i colori accesi, scuri, mischiati al tutto. Sembra una fotografia di vita anch’essa…
Non so come si possa definire e, scusa la franchezza, non lo ritengo importante. Non volevo fare un pezzo blues o rock o folk, non volevo niente. Quando si sta male c'è chi scrive, chi dipinge, chi piange, chi si rinchiude in se stesso: io scrivo canzoni. In questo particolare caso non ho “progettato” niente, non volevo niente se non liberare quel dolore che mi sembrava insopportabile.
Anche qui davvero non ho una risposta verta. Credo che siamo tutte creature in divenire, che cambiano sempre conservando comunque qualcosa di sé anche nel cambiamento: nell'adulto convive il bambino. Siamo sempre gli stessi ma sempre diversi, con la capacità di recuperare o abbandonare parti di sé a seconda dei momenti e delle circostanze.
Mi dispiace insistere con i “non so”, sembra quasi una presa in giro. Ma davvero, non so se “semplicità” sia un termine azzeccato. In realtà, come credo sia per chiunque faccia questo mestiere, rielaboro ciò che ascolto, lo faccio mio e cerco di divertirmi con i miei compagni di avventure. Se poi quello che viene fuori è catalogabile come “semplice”, ok, mi sta bene. Basta che faccia stare bene anche chi mi ascolta.
Ho reagito, penso, come tutti. All'inizio è stato uno shock, poi ho cercato di prendere il meglio da una situazione che sembrava non avere “un meglio”. Mi sono dedicata ad altro, ho scritto, ho preso del tempo per me e per la mia famiglia. I live sono già pochi in tempi normali, figuriamoci in questi. La musica originale non ha molto spazio in questo paese e, fino a che non ci sarà una vera rivoluzione in questo settore, avremo sempre difficoltà, noi “artisti” (lo metto fra virgolette perché il termine mi fa sorridere) che non facciamo parte del mainstream.
Penso che sia parecchio triste, se questa cosa viene vissuta come normalità. Può andar bene come sostegno, come un'aggiunta, ma non può sostituire l'emozione di un concerto, di sentire e “vedere” qualcuno che ti suona davanti. Alcuni concerti io li ho aspettati per mesi, per anni a volte, e ho provato sensazioni indescrivibili nel trovarmi a poca distanza da quelli che per me sono dei miti; parlo di Neil Young, di Bob Dylan, di Mc Cartney, di Tom Petty e tanti altri. Ti assicuro che la differenza tra il vederli in streaming e sapere di essere lì, a 40, 50 metri da loro, da persone che hanno fatto la storia della musica, vederli sudare, suonare, cantare...non c'è paragone. E' vivere.