Oops: dentro la bestialità, oltre la divinità


Un disco esperimento per quanto siano tante le forme che sposano una simile soluzione. Esperimento anche e soprattutto nel modo di lasciar fluire tutto senza troppi ragionamenti. Un fluire esperito da sensazioni di getto che in qualche modo ricalcano messaggi e intenzioni. “Bestie e Dei” è l’esordio degli Oops. Spiritualistico, sacrale in un certo senso… e poi viscerale nonostante un rock liquido dai toni inglesi.

La lirica ha un peso notevole e per niente marginale nel disco. Che sia la parola la vera protagonista?                                                                                                                                                
Il progetto nasce come una sorta di laboratorio anarchico in cui ogni componente mantiene la propria individualità, tre mondi che confluiscono in un unica onda. Due musicisti compositori e un autore di testi che non sapendo cantare, ha trovato un suo modo personale di valorizzarli. Tutto qua.

Il suono a corredo cerca di vestire il brano solo dal punto di vista sonoro o anche nel suo significato?

I testi alternano immagini, riferimenti alla metacognizione, che sarebbe la capacità di autoanalizzare i meandri della propria coscienza, e piccole allucinazioni. Allo stesso modo la musica alterna suggestioni oniriche, accelerazioni frenetiche e atmosfere rarefatte. Sono le nostre sensibilità a guidarci e avviene tutto in modo sinergico.

Sono testi che nascono come…? Ci sembra un lavoro assai istintivo… o sbaglio?

Sono molto fedeli a quello che è il mio stile tipico, ho fatto però un lavoro di sintesi e mescolato un po' le carte, paradossalmente sono più onirici i testi di questi brani di alcune mie poesie. Si tratta in generale di un approccio alla scrittura estramente emotivo e frammentario, una sorta di flusso di coscienza che viene levigato e corretto in un secondo momento. L'istinto più della forma, è comunque il perno sui cui poggia tutto Bestie è Dei, quindi hai fatto centro.

Solo in pochi momenti come “Apollinaire” la voce cerca e trova una melodia. Perché solo qui?

Un ritornello particolarmente orecchiabile non deve essere inquadrato come un obbligo artistico. Quando esce, semplicemente esce senza che nessuno l'abbia cercato forzatamente. Quando non esce è perchè il pezzo si completa a suo modo. Proviamo un certo gusto nell'essere trasversali, radiofonici ma anche un po' sperimentali, orecchiabili ma anche ostici in alcuni passaggi. Siamo una miscela schizzoide e sentimentale.

Dunque, per voi lo spoken word che valenza e che ruolo ha?

Lo spoken word è un enunciazione personale, non vuole avere velleità teatrali ma neanche necessariamente intellettuali. Vuole essere  un semplice strumento comunicativo, un escamotage che mi permetta di attuare una terapia personale e spero collettiva, anche se di nicchia.